Pennini? Sentite questo rumore?
È un po’ ovattato ma estremamente fastidioso. Lo sentiamo tutti eppure nessuno ci dice che ci sia veramente. È lo stesso rumore che sento quando vedo una persona cara in difficoltà: cosa devo fare? Posso aiutarla nel modo giusto? Come mi sento? Vorrei fare di più! Voglio che lei stia bene! Ma lei non fa quello che dico…lei sta male! E io con lei. Se lei non sta bene, io non posso stare bene.
E questo Pennini miei: è il rumore della confusione della mancanza di giusti limiti e incapacità di riconoscere i giusti limiti e responsabilità.
Eh già.
Quando lei sta male, inevitabilmente anche tu sprofondi nel dolore. Tu non vuoi che lei soffra...ma certe volte è proprio lei che si caccia nei guai, e noi dobbiamo risolvere tutto.
Facciamo conto che lei, la vostra migliore amica, attratta dal mare, ogni qualvolta che si sente poco controllata, prendesse la malsana decisione di gettarvisi dentro. Ma come sempre lei non sa nuotare! Noi ogni volta la sentiamo urlare e subito accorriamo per aiutarla.
Ma noi odiamo l’acqua! Non sappiamo nuotare! Ma la vediamo soffrire e, sperando di imparare a nuotare solo perché lo desideriamo, ci gettiamo. Così non solo siamo a rischio annegamento in due, ma anche crediamo di far bene a soffrire esattamente come soffre lei.
Siamo tristemente felici di soffrire condividendo la stessa sofferenza di chi amiamo.
Ma amare significa questo?
Cosa significa amare?
L’amore, quello vero, è limitato. Il motivo è molto semplice: se l’amore ammette il limite, allora permette ad infiniti collegamenti relazionali per la condivisione delle capacità in cui ogni singolo individuo eccelle.
Se l’amore, quello vero, ammette una cosa simile, significa che tutti sono fondamentali, nelle proprie peculiari capacità: irripetibili e fondamentalmente individuali.
L’amore è infinito grazie all’infinita possibilità di relazione fra individui, ma l’individuo deve ammettere il proprio limite per far funzionare la macchina dell’amore. In questo modo ognuno trova la propria personalissima strada.
A questo punto non solo non ti getterai più a salvare la tua amica: ma accetterai che lei ama l’acqua e la lascerai gettarsi in acqua, facendosi aiutare poi ad uscire da un bagnino, fintanto ché non deciderà di partire in acque meno insidiose e con l’aiuto di un maestro, imparerà a divenire la migliore nuotatrice di sempre.
Non sta a noi decidere che l’acqua per lei è sbagliata. Ma sta a noi starle accanto nell’ascolto e non nella condivisione forzata ( fatta anche di giudizio e sensi di colpa ) dove noi dobbiamo morire con lei...quello è un dramma e non un aiuto.
Aiutare, alle volte, è ammettere che noi possiamo solo dare l’allarme...e se lei vuole imparare a nuotare da sola: va lasciata da sola.
Non è tuo dovere annegare. È tuo dovere rimanere in salvo. Soffrire come soffre lei non migliorerà la situazione. Aiutare alle volte è sopportare il dolore con la consapevolezza che non sempre possiamo fare qualcosa: specialmente se lei non vuole il nostro aiuto. Solo perché siete amiche non significa che voi siete le persone migliori per aiutarla.
Sempre vostra, Iro Järvinen